Emilia Romagna

Curiosità riminesi

RiminiLo stemma della città
Lo stemma della città di Rimini è diviso verticalmente in due parti: a sinistra l’Arco di Augusto su campo argenteo, a cavalcioni del ponte di Tiberio, che sguazza in un mare mosso; nella parte di destra invece una croce rossa e argentea che campeggia su uno sfondo anch’esso rosso. Il compito di creare uno stemma per la città di Rimini fu affidato dal Podestà a Carlo Lucchesi, direttore della Biblioteca Gambalunghiana. Costui dopo una lunga ricerca storica e iconografica decise di porre sullo stemma i due famosi monumenti, l’arco e il ponte, che ricordano a Rimini del suo passato romano. Per quanto riguarda la croce, essa è acquisizione più tarda. Nel 1509 dopo la cacciata dei Malatesti, Giulio II concesse a Rimini di fregiarsi di una “croce doppia, bianca e rossa”, che sono ancor oggi i colori cittadini.

Il Re delle bisce
Era l’anno 1619 e don Claudio esercitava tranquillamente il suo mandato in una parrocchia della diocesi di Rimini. Da qualche giorno però il sacerdote era un po’ turbato: gli capitava infatti spesso di imbattersi in orribili bisce nere e non riusciva a capire da dove provenissero tutte quelle bestiacce. Alla fine di marzo, don Claudio chiamò alcuni operai per sistemare il pavimento sconnesso della sua abitazione. Profondo il disgusto degli uomini quando, sollevando le travi di legno, scoprirono migliaia di orribili bisce nere annidate nelle intercapedini della casa. Ci volle un’intera mattinata e più di un uomo per ammazzarle tutte: i rettili infatti, colti alla sprovvista, saltavano e si ferivano l’un l’altro. Alla fine furono tutti sepolti in una fossa comune poco distante dall’abitazione. La notte della strage, nei dintorni della fossa, fu visto aggirarsi un terribile mostro con le fattezze di serpente che lanciava fischi raggelanti. Chi era questo mostro? E’ il Basilisco dei Greci, il Regolo dei Romani e il Rebiscio del folclore romagnolo, insomma, il Re delle Bisce, citato anche da Aristotele e descritto da Plinio come un enorme serpente con una corona in testa. Si racconta che il suo alito sia letale e il suo aspetto orribile, al punto che basterebbe farlo specchiare per ucciderlo sul colpo. Il nostro Re delle bisce invece fu ammazzato con una fucilata dal nipote di don Claudio e finì nella fossa con i suoi ex sudditi.

Le streghe
Che a Rimini ci fossero le streghe lo diceva anche Orazio: un quartetto di fattucchiere intorno all’ormai classico pentolone dei sortilegi avrebbero ucciso un bimbo dopo atroci torture. Fra queste donne Orazio cita ‘la riminese Foglia / dalla maschil lussuria’ forse alludendo alle tendenze saffiche della nostra strega. Ma la strega Foglia è un personaggio più mitico che reale, anche se nell’Ottocento Domenico Missiroli di Faenza, mediocre poeta sepolcrale, canta le gesta di questa strega ambientando la vicenda presso il “fiume Isauro, oggigiorno detto Foglia”, fra Rimini e Pesaro .  Storicamente attestata invece è l’esistenza dell’altra strega di Rimini, detta ‘la Vaccarina’. Costei era una vecchia di povera condizione della quale tale Matteo Angelini, barbiere, in data 15 aprile 1587 scrive: “La Vaccarina, vecchia, fu abbrugiata per strega”. La testimonianza è alquanto stringata: forse, all’epoca della caccia alle streghe, le vecchie arse al rogo non rappresentavano un fatto degno di nota. Specie se, come a Rimini in quei mesi, la popolazione era stremata dalle carestie e dalle epidemie e cercava un capro espiatorio da incolpare per le proprie sofferenze. Certo è che il sacrificio della Vaccarina non dev’essere rimasto nel cuore dei suoi concittadini, se la sua memoria è affidata solo a questa misera annotazione…

Il tesoro scomparso dei Templari
Sappiamo che Rimini fu in passato una città molto ricca, porto commerciale estremamente attivo e snodo di vie di comunicazione molto importanti. E nel Duecento Rimini ospitava anche una delle sedi dell’ordine dei Templari. Com’è noto, i Fratelli facevano voto di povertà e tesaurizzavano le rendite dei loro immensi possedimenti fino all’ultimo soldo. Nella sola Francia i possedimenti dell’ordine dei Templari in un anno fruttavano all’epoca qualcosa come un migliaio di miliardi di lire attuali. I Templari di Rimini avevano la loro sede presso la Chiesa di San Michele al Foro, che fu distrutta nel 1307 quando Filippo il Bello, con una repentina azione militare, distrusse il Tempio e confiscò parte delle proprietà dei Fratelli; parte fu incamerata dallla Chiesa: ma il grosso del denaro e dei gioielli non fu mai ritrovato e da allora ci si chiede dove possa essere finito. Per chi volesse avventurarsi alla ricerca del tesoro scomparso, ammesso che sia mai esistito, della Chiesa di San Michele al Foro esiste ancor oggi l’abside, presso la via omonima. Oppure si potrebbe provare a Gambettola, dove sorgeva l’ospedale di Budrio, che era propretà dei Templari. Oppure in qualche grotta scavata nel tufo rosso di Covignano, chi lo sa!

La piada
La ricetta comunemente accettata per la piada prevede un impasto solido di farina, strutto, sale e un pizzico di bicarbonato da stendere e cuocere poi sul ‘testo’ (una lastra di pietra), con l’accortezza di punzecchiarla con una forchetta e di rigirarla spesso. La piada va mangiata calda e farcita con prosciutto, formaggio, verdure cotte e quant’altro. Ma quali sono le origini di questa prelibatezza? A dire la verità, come impasto di cereali cotto su una lastra di pietra, l’origine della piada può essere fatta risalire al neolitico. In epoca più recente, le prime notizie della piada sono datate al XIV secolo e fino al XIX secolo la piada è sempre stata considerata dai commentatori come un cibo povero, quasi miserabile, che si prestava al consumo di ingredienti vili come le ghiande macinate che non sarebbe stato possibile far lievitare. Insomma la forma era le stessa, ma l’attuale piada è sicuramente una versione nobile di quella che veniva consumata per necessità dalle classi sociali più povere. Si pensa che la piada abbia avuto un boom nel secolo scorso con la diffusione del mais, dato che i romagnoli non hanno mai avuto in gran simpatia la polenta e, non potendo farci il pane, si adattavano a plasmare il frumentone in spianate che venivano poi cotte al forno. Le piade di fior di farina decantate dal Pascoli quindi sono cosa recente.

I bagni e i ristoranti nell’Ottocento
L’inaugurazione del primo Stabilimento Bagni a Rimini risale al 1843: in quel periodo però non esisteva ancora un adeguato servizio di ristorazione per chi si recava a trascorrere una giornata in spiaggia, o meglio, i ristoranti c’erano ma forse non erano all’altezza di chi era solito recarsi ai bagni con cuochi e servitori al seguito. A quei tempi le trattorie di Rimini offrivano solitamente menù abbondanti, piatti succulenti e saporiti, ma gli ambienti si presentavano semplici e talvolta non troppo più puliti; gli annunci pubblicitari decantavano ‘ottima cucina’ a ‘prezzi modici’, ma nessun accenno alla qualità dei vini o al servizio. Per questo i ricchi proprietari dei ‘villini’, frequentatori dei bagni, disdegnavano la pubblica ristorazione, preferendo farsi cucinare i soliti manicaretti dai fidati cuochi che si portavano da casa. Comunque di ristoranti o caffè aggregati al primo Stabilimento Bagni non si hanno notizie fino a una trentina d’anni dopo la sua apertura. Il secondo stabilimento bagni, il Kursaal, riservava invece una grande sala a sinistra dell’atrio per un ‘grande esercizio ristorante’, funzionante già dal 1872. Il locale offriva una discreta varietà di piatti a prezzi ragionevolissimi: erano previsti ‘menù turistici’ ma anche piatti più raffinati, come il caviale, per i più esigenti.

Santa Innocenza     
Le notizie che abbiamo sui primi cristiani si confondono con la leggenda ma la tradizione vuole che le persecuzioni dell’imperatore Diocleziano abbiano fatto molti martiri qui a Rimini, specie nella zona di Lagomaggio, fuori Porta Romana, dove la tradizione vuole fossero portati a termine i supplizi. La più famosa di questi martiri è Santa Innocenza, il cui culto sembra molto antico, anche se la sua storia è piena di incongruenze e anacronismi. La leggenda narra che Diocleziano, giunto a Rimini nell’anno 300, convocò una folla di cristiani fra i quali, per bellezza, si distingueva la quindicenne Innocenza. L’imperatore si dimostrò molto interessato alla giovane, che respinse il sovrano proclamando orgogliosamente la sua fede. Diocleziano provò a farla cedere con la tortura e alla fine ripartì. Le concesse però tre giorni per pensare al suo destino, allo scadere dei quali fece inviare degli uomini a sentire cosa la giovane avesse deciso. I soldati la trovarono immersa nella preghiera e la trafissero con una lancia: era il 16 Settembre, data in cui ancor oggi si ricorda il suo martirio. Si narra che Innocenza, copatrona di Rimini, sia stata sepolta insieme a molti altri martiri nella zona sepolcrale di Lagomaggio.

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